A Cernusco sul Naviglio, oltre a San Giuseppe Lavoratore, progettato dallo Studio Buttè-Litta, spicca col suo biancore e la semplicità delle forme l’edificio sacro contemporaneo progettato dall’architetto Carlo Razzini. Ce ne parla con competenza e passione la figlia Lucia

Madonna Divin Pianto
Il portale d’ingresso e il campanile della chiesa della Madonna del Divin Pianto

Vorrei iniziare questa breve narrazione sulla storia, ma soprattutto sulla architettura della nostra amata Parrocchia, citando una frase del suo progettista, l’arch. Carlo Razzini: “Realizzare una chiesa, la casa di Dio, è uno dei momenti più alti nella vita sia dei suoi promotori, che dei tecnici e degli artigiani che a tal fine operano”. In tanti hanno operato in questi anni, sia fisicamente che spiritualmente, per realizzare questa chiesa e questa comunità. Il primo a volerla fortemente fu l’allora Parroco Mons. Rossignoli che all’inizio degli anni ottanta avviò la pratica in curia per la realizzazione di un nuovo centro parrocchiale nel quartiere di nuova espansione ad est di via Verdi. La nostra è sempre stata una chiesa “in divenire”, costruita in tanti piccoli pezzi con il contributo dei fedeli, ed è per questo motivo che le tappe per arrivare all’opera completa sono numerose e dilatate nel tempo.

Il cantiere prese il via nel 1984 con la posa della prima pietra da parte del Cardinal Martini. Il centro parrocchiale fu completato 1986 con il posizionamento della statua lignea della Madonna del Divin Pianto, opera di uno scultore di Bolzano, donata dalle suore Marcelline, seguirono poi il sagrato e il campanile a partire dal 1990. Nel 1997 il centro parrocchiale si amplia con la costruzione della segreteria esterna, della sede scout e dei campi, mentre la chiesa resta ancora nella sua forma più “essenziale” priva del controsoffitto in legno e di qualsiasi elemento artistico. E’ priorità infatti del primo parroco Don Carlo Grammatica, edificare la nostra comunità attorno alle attività parrocchiali, prima di abbellire la Casa di Dio. Solo negli anni 2000 la chiesa si arricchirà prima della via Crucis e poi nel 2005 del controsoffitto, del trittico sull’altare e del completamento del fonte battesimale.

L’ultima opera è stata la realizzazione delle vetrate nel 2011, l’ultimo regalo dall’arch. Razzini alla “sua” Chiesa.

Dopo questo breve ma necessario excursus storico entriamo nel vivo dell’architettura e delle opere d’arte che completano la parrocchia del Divin Pianto.

In un tempo in cui assistiamo alla dilatazione dello spazio cittadino, la Chiesa deve penetrare nel tessuto urbano come punto di incontro e servizio alla comunità, e particolarmente felice fu allora la collocazione della nuova struttura, inserita in un quartiere di nuova formazione, in cui si prevedeva un bacino d’utenza di circa 5000 abitanti che nel tempo è stato poi oggetto di ulteriore espansione. Il terreno di circa 6150 mq su cui sorge la parrocchia, quasi un reliquato delimitato da condomini e dal complesso scolastico, fu donato dalla famiglia Lucioni e la conformazione lunga e stretta con l’asse maggiore orientato nord-sud ha condizionato fortemente i criteri di progettazione. La collocazione baricentrica della costruzione, concordata con la curia, ha consentito di concentrare le funzioni oratoriali all’aperto sull’area retrostante, liberando quella antistante per la creazione di un sagrato. Non una classica chiesa sulla piazza quindi, ma un edificio circondato dal verde come cortina prospettica, come delimitazione del sagrato e degli spazi di aggregazione esterni.

Sin dai primi schizzi progettuali si è cercato di contenere i costi di costruzione, pertanto si è optato per un edificio estremamente compatto, così da ridurre gli oneri di gestione ma al contempo riuscire ad ospitare tutte le funzioni necessarie. Nessuna architettura monumentale, né strutture complesse quindi, semplicemente due corpi di fabbrica strettamente connessi ma distinti nelle loro funzioni: il primo che comprende la chiesa al livello superiore, e gli spazi di aggregazione al piano inferiore, per circa 520 mq, il secondo con l’alloggio del parroco, gli uffici parrocchiali ed i servizi tecnologici per circa 175 mq di superficie coperta.

L’impostazione architettonica della chiesa è estremamente essenziale, caratterizzata dalla copertura a falda unica, illuminata a luce radente dalla finestratura continua. Le pareti sono quinte verticali che chiudono l’ambiente circostante, un po’ indiscreto per la vicinanza dei condomini e della scuola, lasciando ampi squarci verticali vetrati nei punti di sovrapposizione, permettendo alla luce, e quindi alla vita che si svolge all’esterno di penetrare all’interno creando un rapporto dinamico di chiusura e comunicazione con gli spazi circostanti. Le pareti in cemento armato, con le loro forme curvilinee che abbracciano lo spazio e convergono verso il presbiterio, ed  il pavimento il leggera pendenza fanno in modo che l’altare diventi il punto focale dello spazio istaurando un rapporto stretto ed immediato tra assemblea e celebrante. E’, a mio parere, entusiasmante che l’architettura influisca in maniera così importante sulla nostra percezione emotiva, entrando qui ci si sente accolti e proiettati verso il sacro, sebbene questa concezione spaziale si discosti totalmente dalla nostra esperienza di chiesa tradizionale, ed una delle ragioni è il sapiente uso dei volumi nello spazio, e del gioco della luce sulle pareti semplicemente intonacate a colori chiari.

Anche esternamente si è mantenuta la semplicità che caratterizza l’interno, limitandosi ad una finitura ad intonaco chiaro, con inserti blu a rimarcare la profondità dei tagli nel volume da cui penetra la luce. La collocazione piuttosto bloccata del complesso parrocchiale invece fa percepire i fronti laterali solo attraverso angoli prospettici decisamente stretti.

Unico elemento decorativo sulla facciata è il mosaico del Maestro Paolo Scirpa, che da sempre ha collaborato con l’architetto Razzini ed i parroci che si sono avvicendati per arricchire di opere d’arte la nostra semplice chiesa. Il sole di San Bernardino, rielaborato in chiave contemporanea, dal diametro 160 cm riporta al centro il trigramma IHS, che sono le prime tre lettere del nome di Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma anche l’abbreviazione di “Iesus Hominum Salvator, Gesù Salvatore degli uomini”, che irradia dunque luce e calore attraverso l’opera dei 12 apostoli (rappresentati dai 12 raggi). Questo simbolo da sempre ha il triplice significato di richiesta di protezione dai mali, appartenenza cristiana, benedizione a chi entra (lasciando fuori il male) e a chi transita sul sagrato.

Il sagrato ed il campanile sono stati progettati con lo stesso criterio di semplicità, limitandosi a disegnare lo spazio attraverso pochi elementi: gli alberi a filare e l’erba verde per guidare le visuali, la pietra chiara in contrasto al mattone, carico di calore e memoria, e recentemente sostituito dalla beola. Sono quindi i colori a delimitare e dare forma allo spazio. Si è scelto di accedere alla chiesa solo pedonalmente per ricreare il senso di quiete e di riposo all’ombra degli alberi, per questo motivo poi i percorsi ci conducono anche a spazi di sosta e di aggregazione. Infine il campanile che con lo stesso spirito con cui è stata progettata la chiesa, non ricca ma funzionale, è stato ideato per completare la quinta prospettica, con la sua presenza semplice ed il suo discreto richiamo ai fedeli. La struttura ha un’altezza inferiore a 15 m e una base che non supera 2.5 m. Due lame verticali in cemento armato, una lineare, l’altra ricurva delimitano la cella campanaria. Le campane inoltre sono sostenute da un castello metallico a vista che accentua lo slancio verticale del campanile. Le 5 campane, donate dall’ordine dei Fatebenefratelli, sono esse stesse vere e proprie opere d’arte e sono dedicate ai santi e beati dell’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio e ciascuna ne porta un’effige.

Internamente, come abbiamo più volte accennato, la chiesa si presenta nella sua forma più essenziale, le pareti semplicemente intonacate, ora arricchite da opere d’arte di cui in seguito tratteremo,  e leggermente rastremate focalizzano lo sguardo sul presbiterio, i cui elementi, altare, tabernacolo, sede ed ambone, sono ben distinti secondo le indicazioni post conciliari e sono stati disegnati con la medesima semplicità. L’altare, in marmo bianco di carrara, è un blocco monolitico la cui unica decorazione è il Chiro bronzeo collocato al centro, rappresentazione perfetta dell’ara del sacrificio ma anche della mensa. Anche la sede, leggermente sopraelevata rispetto alle sedute dei chierichetti, così come l’ambone sono in marmo bianco con inserti in noce e beola che conferiscono maggior calore alla semplicità geometrica. Un piccolo aneddoto che mio padre mi ha raccontato riguarda il tabernacolo il cui progetto del sostegno lapideo è stato modificato quando la chiesa era in fase di completamento. Stavano infatti terminando i fondi a disposizione pertanto si è pensato di raccogliere le lastre di pietra rimaste, gli scarti, e da esse dare forma al fulcro del presbiterio “la pietra scartata dai costruttori è diventata pietra angolare”. Il tabernacolo invece, realizzato dalla Fondazione Scuola Beato Angelico è uno scrigno di acciaio la cui forma suggerisce l’idea di una gemma. La porticina con smalti a fuoco policromi legati da una fitta maglia metallica rappresenta l’umanità redenta dal sangue di Gesù, le cinque gocce rosse, che evidenziano la croce che si fonde con la trama di fondo, perché le nostre sofferenze completano la croce redentrice di Gesù.

L’ultimo elemento architettonico a completamento della chiesa, dopo quasi vent’anni dalla sua realizzazione, è stato il controsoffitto ligneo. I tegoli prefabbricati a vista con la scritta Biarmato e le canalizzazioni della termoventilazione che hanno accompagnato le nostre funzioni per lunghi anni, sono stati infine mascherati dal controsoffitto che definisce lo spazio interno. I pannelli, in composito di legno, corrono lungo l’asse longitudinale e seguono la pendenza trasversale della copertura. Sono due controsoffitti distinti che si sovrappongono l’un l’atro, quello a doghe longitudinali più scure e quello in faggio naturale, integrandosi. La copertura dell’aula diventa l’immagine del popolo di Dio che viene accolto dal presbiterio, divenendone copertura come se fosse il telo di una grande tenda, la tenda di Abramo. Fulcro della copertura è il cilindro di luce sopra l’altare, di cui riprende il cromatismo, che svolge il ruolo un tempo assegnato alla cupola. Una struttura simile, di dimensioni minori evidenzia il fonte battesimale. L’illuminazione è stata pensata con corpi illuminanti a sospensione la cui orizzontalità esalta ulteriormente l’inclinazione dell’unica falda di copertura.

Il controsoffitto è stato progettato in collaborazione con il Maestro Paolo Scirpa. Infatti i due cilindri bianchi nascondono all’interno dei ludoscopi, vere e proprie sculture di luce, creati attraverso un sapiente gioco di tubi al neon e specchi in cui la luce si moltiplica all’infinito ed esprime il desiderio di trascendenza dell’uomo. Sopra all’altare cinque elementi formano una croce. Quello centrale tende all’infinito, mentre i bracci laterali tendono a raccordarsi quasi a formare i costoloni di una immaginaria cupola, il colore rosso è quello del sacrificio che si offre sull’altare sottostante.

Sopra il fonte battesimale il ludoscopio, azzurro come l’acqua, proietta all’infinito l’ottagono sottostante, la cui forma da sempre è simbolo di resurrezione ed evoca la vita eterna, che si raggiunge immergendo il neofita nelle fonti battesimali. Il dipinto, collocato ad angolo, sulla curva della struttura architettonica che fa da sfondo al fonte battesimale, rappresenta quindi la Resurrezione in Cristo nel Battesimo  e si è voluto porre in risalto la potenzialità luminosa del Cristo, nell’attimo in cui risorge. E’ realizzato con un’orchestrazione di gialli e bianco-luce, su una superficie ellittica, e trae spunto dalla Sacra Sindone ed alla tesi che alcuni studiosi avvalorano secondo cui dal corpo morto di Gesù, si sprigionò un’improvvisa energia di luce.

La collaborazione con il Maestro Scirpa è sempre stata estremamente proficua, ed è così che è nata anche la Via Crucis, grazie al sostegno dei parrocchiani che hanno contribuito alla sua realizzazione. La volontà che ha dato origine a questi pannelli era quella di colorare con una luce intensa e policroma le pareti bianche per creare un effetto di meraviglia che ci consentisse di guardare i misteri di Dio con occhi nuovi. Il linguaggio pittorico, forte nei segni e nell’intensità del colore, è stata una scelta dell’artista che richiama i valori dell’espressionismo e che lo ha aiutato ad esprimere meglio il dramma della Passione. La realizzazione della XV Stazione è stata suggerita da don Carlo Grammatica perché la sentiva come un ulteriore completamento della Via Crucis, un segno del Risorto. Ancora una volta, nelle opere d’arte del maestro è la luce ad essere protagonista e a scolpire i corpi come forme astratte e trascendenti. Il trittico del presbiterio, pur ricollegandosi stilisticamente alla via Crucis se ne discosta con una rappresentazione meno astratta: è un inno dell’amore di Dio attraverso il sacrificio del Figlio sulla croce, nella grande pala centrale; accanto ad essa da un lato Gesù lava i piedi ai suoi discepoli, altro atto d’amore e di monito a tutti noi; Lui è venuto a servire e non a farsi servire; dall’altro lo spezzare del pane nella Cena di Emmaus, per ricordarci che ogni giorno Cristo si lascia spezzare affinché ognuno di noi possa diventare una cosa sola con Lui e con tutti i nostri fratelli.

Parliamo infine delle vetrate. Mio padre, prima di lasciarci ha chiesto esplicitamente a me e a mia madre di completare la sua Chiesa: “iniziate le vetrate, qualcuno vi aiuterà a finirle”. Così a partire dal 2010, poco dopo la sua scomparsa, con il maestro Scirpa, don Ettore e Don Renato abbiamo iniziato questo nuovo progetto. L’idea di base era quella di distaccarsi dal classico simbolismo, per creare un’atmosfera mistica in cui l’ambiente coi colori filtrati dalla luce esterna, potesse invitare il fedele alla preghiera, senza rinunciare alla grande luminosità che da sempre ha caratterizzato la nostra piccola chiesa. Così nascono questi disegni dalle forme ritmiche dinamiche ascensionali e discensionali che inseguono una bellezza di luce ideale in funzione dello spazio architettonico e prendono spunto dal movimento Futurista. Tuttavia, i meravigliosi bozzetti preparatori si sono scontrati con la rigidità dei mastri vetrai abituati alla classica composizione delle vetrate a piombo che non ci avrebbero consentito di rappresentare il dinamismo e la fluidità dei colori che si inseguono e compenetrano. Dopo lunga ricerca i maestri dell’Accademia del mosaico di Milano hanno accolto sfida e sono riusciti, tramite una tecnica innovativa di pittura su vetro a ricreare esattamente i disegni di Scirpa.

 

Spero di essere riuscita con questa breve narrazione a farvi comprendere come nella nostra chiesa, religione e arte contemporanea hanno trovato un vivace dialogo, concedendo all’artista e al tecnico,  fiducia nella sperimentazione e questo ha dato vita ad un luogo la cui spiritualità è data dall’accoglienza e dalla vitalità.

 

Arch. Lucia Razzini, Studio Razzini, domenica 9 giugno 2024